ISERNIA LA PINETA
OSSIA UNA STORIA SEMPRE ATTUALE
Prof. Carlo Peretto*;
Preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Università degli Studi di Ferrara
Con la collaborazione di: Antonella Minelli, Marta Arzarello, Giuseppe Lembo, Ursula Thun Hohenstein
A proposito dei primi europei
Poco più di 20 anni fa la rivista Nature (1982) dedicò la copertina e lo spazio per un articolo, sul giacimento di Isernia La Pineta. La novità stava non solo nella grande quantità di reperti rinvenuti, ma anche e soprattutto nella sua alta antichità, anche se non era certamente l’insediamento reputato più antico in Europa a quel tempo, basti pensare ad esempio al Vallonnet (Francia) che già allora era collocato intorno a 900.000 anni fa.
La novità di Isernia risiedeva nel fatto che contribuiva in modo determinante a sostenere un’alta età del primo popolamento del continente europeo. Rinfocolava in sostanza il dibattito sulla possibilità che gruppi umani fossero giunti sul nostro territorio ben prima di quanto fino allora si ritenesse con modi di vita complessi ed evoluti.
I tentativi di non accettare questa realtà emergente furono molti. Essi hanno costituito una base priva di fondamento per la così detta cronologia breve che si basava sull’assioma che soltanto a partire da circa 500.000 anni fa l’uomo era in qualche modo arrivato in Europa. Per sostenere questa ipotesi si negavano anche i dati più evidenti. Si dubitò di tutto: delle modalità di formazione dei giacimenti più antichi, della deposizione primaria dei materiali, della qualità delle datazioni relative e radiometriche, degli studi paleontologici, ecc.
Il progredire della ricerca scientifica, soprattutto quella sul campo e non della speculazione da tavolino, portò in seguito e in rapida successione ad ulteriori quanto esaltanti riscontri tanto da porci di nuovo oggi nella condizione di dover riscrivere buona parte della storia più antica del continente europeo.
Nuovi scavi e nuove scoperte hanno infatti confermato l’antichità del primo popolamento umano europeo, come il fondamentale complesso di Atapuerca in Spagna, che ha restituito resti di Homo antecessor, e il sito di Ceprano in Italia dal quale proviene una calotta cranica attribuita a Homo cepranensis. In numerosi casi ci si attesta sul milione di anni ed anche più, come ad esempio il sito di Ca’ Belvedere di Monte Poggiolo (Forlì).
Siamo ora nella situazione di dover di nuovo rivoluzionare tempi e modalità di diffusione dei primissimi uomini, che partendo dall’Africa arrivano in Eurasia in una epoca di molto più antica. La storia del popolamento del nostro continente potrebbe ulteriormente ampliarsi soprattutto in seguito all’importante ritrovamento di Dmanissi (Georgia) di importanti resti scheletrici attribuiti a Homo georgicus, risalenti a circa 1.750.000 anni fa.
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Gli scavi oggi
In questi ultimi anni l’area degli scavi è stata attrezzata in modo da rispondere nel modo migliore alle esigenze di una moderna ricerca archeologica a carattere interdisciplinare.
Lo scavo è stato ricoperto da un padiglione di circa 700 mq all’interno del quale è possibile condurre le attività di esplorazione per lunghi periodi. Ad esempio nel corso del 2003 gli scavi, iniziati all’inizio di aprile, sono terminati nel mese di dicembre. Il padiglione è attrezzato con strumentazione fissa per il rilievo e la documentazione, quali una stazione totale GEOTOP, vari computer e quando necessario uno scanner 3D.
Il padiglione è costruito in modo da consentire la visita del pubblico anche durante le fasi di scavo. Il visitatore può assistere così alle varie fasi dell’esplorazione: l’individuazione e l’isolamento dei reperti, il restauro dei materiali sulle archeosuperfici, le tecniche di documentazioni manuale e informatizzata, il restauro dei materiali, ecc.
Anche il settore del lavaggio e del vaglio è stato opportunamente organizzato per consentire la raccolta dei materiali più minuti nel migliore delle condizioni di lavoro possibili.
La formazione del deposito
Gli scavi e gli studi interdisciplinari dei depositi, esplorati per uno spessore di almeno 6 metri, consentono oggi di tracciare un quadro articolato e sufficientemente chiaro della sequenza dei fenomeni naturali che hanno interessato l’area a partire da almeno 700.000 anni fa fino ai nostri giorni.
I cacciatori paleolitici si insediarono più volte su piccoli rilievi in prossimità di ambienti umidi, talvolta esondati da piene improvvise. Dopo l’abbandono, l'accampamento venne rapidamente sepolto da una potente coltre di sedimenti alluvionali, derivati da una rapida erosione dei rilievi circostanti sollevati dall’azione tettonica quaternaria. Manifestazioni vulcaniche accompagnarono a più riprese questo fenomeno, causando la messa in posto di tufi e ceneri con strati dello spessore anche di qualche decina di centimetri.
Tutto ciò determinò un rapido seppellimento delle evidenze archeologiche consentendo così l’istaurarsi di condizioni del tutto favorevoli per lo stato di conservazione dei suoli d'abitato che oggi vengono sistematicamente esplorati. La sequenza che caratterizza la successione di Isernia può quindi essere riassunta nel modo seguente: 1- In origine l'area è occupata da un bacino lacustre che deposita sabbie e limi; 2- Il bacino si interra e si deposita un livello travertinoso che emerge e viene alterato dagli agenti naturali; 3- Sul travertino, alterato ed eroso, si imposta il primo suolo d'abitato indicato con la sigla 3c; 4- Questo primo accampamento (3c) è coperto da una alluvione che deposita argille, limi e contestualmente ceneri vulcaniche; 5- L’area è nuovamente frequentata a più riprese da comunità umane che lasciano consistenti testimonianze delle attività svolte; esse costituiscono una nuova archeosuperficie indicata con la sigla 3a;
6- Questo secondo livello archeologico è sepolto da un colluvio (colata di fango) costituito da materiali fini; la sua età è di circa 600-700 mila anni; 7- Segue una fase nella quale diventano di nuovo dominanti gli apporti fluviali e vulcanici, caratterizzati da sabbie grossolane (piroclasti); 8- È questo il momento durante il quale l'uomo si accampa una terza volta contribuendo alla formazione di una archeosuperficie conosciuta con la sigla 3S10. 9- Il terzo accampamento è ricoperto da depositi fini fluviali che diventano più grossolani verso la sommità; la sequenza è intercalata da paleosuoli e da tufi vulcanici risalenti a circa 500 mila anni fa; 10- Si scopre il sito archeologico e si inizia lo scavo.
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L’inganno tipologico di Isernia: un mondo di sole schegge
Il giacimento de La Pineta ha restituito una abbondante industria litica, con una netta dicotomia tra manufatti in calcare e in selce. Questi ultimi, che nella quasi totalità dei casi sono di piccole dimensioni, sono ricavati da lastrine di selce di cattiva qualità ricche di fratturazioni incipienti che hanno avuto una certa influenza sulle tecniche adottate per la fabbricazione dei manufatti. È del tutto verosimile, come dimostra la sperimentazione, che i preistorici siano intervenuti con la percussione diretta, ma soprattutto con la scheggiatura su incudine con percussore duro mobile, al fine di provocare la rottura del nucleo e successivamente la produzione di un numero elevato di schegge, per lo più di piccole dimensioni.
I manufatti carenati, che spesso si trovano in associazione con le schegge, non sono altro che il risultato ultimo e puramente casuale dell’intenso sfruttamento del supporto di materia prima a cui viene data la definizione di debris, cioè scarti di lavorazione. La loro morfologia trae solitamente in inganno dal momento che presentano una serie di stacchi multipli che potrebbero erroneamente essere interpretati come ritocchi.
Questo aspetto è confermato anche dall’analisi funzionale dei manufatti sia al microscopio a scansione elettronica (SEM) che al microscopio metallografico, i quali hanno evidenziato la presenza di chiare tracce di uso lungo i margini attivi soltanto delle schegge. La loro presenza, intensità, localizzazione e distribuzione possono fornire informazioni utili sulla direzione del movimento e sulla durezza del materiale utilizzato. Nella quasi totalità dei casi si tratta comunque di usure derivate dal taglio di masse carnee, probabilmente concomitanti al trattamento e allo smembramento di carcasse animali. Sono pochi gli esempi di usure riconducibili alla lavorazione di materiali duri quali il legno.
In definitiva ciò che emerge dallo studio dei reperti in selce di Isernia è che, indipendentemente dal tipo di lavoro per cui i manufatti venivano utilizzati, sono state soprattutto le schegge di piccole dimensioni, dell’ordine di qualche centimetro al massimo, ad assicurare facilmente e rapidamente un’ampia gamma di operazioni legate essenzialmente alle necessità di approvvigionamento di carne.
Come e dove si viveva ad Isernia
Le recenti ricerche sul sito consentono di proporre una interpretazione del tutto nuova sulle modalità di formazione delle antiche archeosuperfici esplorate, consentendo una interpretazione funzionale dell’industria raccolta.
I differenti suoli di frequentazione antropica (3c, 3a, 3S10) rappresentano il risultato di atteggiamenti comportamentali inseriti in specifiche strategie rivolte al reperimento di porzioni di masse carnee a scopo alimentare, avvalorati dalla ricostruzione paleogeografica dell’area, dalle modalità deposizionali e distributive dei reperti litici e ossei, dalle caratteristiche tecniche e tipologiche di schegge e nuclei, nonché dalla sequenza operatoria adottata dall’uomo preistorico per la loro fabbricazione e il loro uso. Le archeosuperfici non rappresenterebbero altro che interfacce differenti di una fase insediativa unitaria che la sequenza delle modalità del suo seppellimento fanno attribuire erroneamente a livelli archeologici distinti sul piano cronologico.
L’elemento di unione delle archeosuperfici è rappresentato dagli ambienti umidi presenti nell’area di quel tempo, contraddistinte da formazioni travertinose in parte emerse ad un andamento discontinuo, in parte lineare, caratterizzate spesso da un progressivo accrescimento orizzontale e verticale. Questo ultimo aspetto, dovute alla presenza dell’acqua e al suo scorrere, è documentato dalle sezioni esposte e dai rilievi di scavo che evidenziano strutture tipiche legate a questo fenomeno. È probabile che un reticolo, più o meno vasto e disomogeneo, di elementi travertinosi emersi caratterizzasse quindi l’intera area, definendo in taluni casi piccoli ambienti umidi (laghetti) tra loro comunicanti.
Lo scavo ha posto in luce una grande quantità di materiale litico sulla superficie allungata e stretta di uno di questi rilievi travertinosi attorniati dall’acqua. I reperti sono molto freschi, per lo più rappresentati da schegge ottenute con percussione diretta o su incudine (Peretto, 1994), con superfici caratterizzate da frequenti tracce connesse con l’attività di taglio della carne. Su questa area i resti ossei sono molto scarsi; essi invece sono molto frequenti ai suoi lati, dove l’acqua lambiva il rilievo stesso e dove diventano meno numerosi i materiali in selce.
La frequentazione stabile dei rilievi travertinosi contornati dall’ambiente acqueo offriva probabilmente la necessaria sicurezza e protezione al gruppo umano. L’esplorazione del territorio circostante comportava la possibilità di recuperare carcasse o meglio parti di carcasse animali a scopo alimentare, senza escludere azioni di carrognage. Esse venivano trasportate in queste aree decisamente più sicure degli spazi aperti della prateria per essere ulteriormente depezzate e sfruttate, anche con la fratturazione delle ossa per il recupero del midollo. La loro altissima frequenta nell’ambiente umido a ridosso del rilievo (peraltro cosa che era già stata osservata fin dalle prime fasi della ricerca; Peretto et alii, 1983) comporta numerosi vantaggi, in particolare l’attenuazione degli odori della putrefazione.
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L’ambiente vegetale
L’ambiente circostante l’area dell’insediamento era caratterizzato localmente da un bosco rado, costituito prevalentemente da latifoglie che gradiscono condizioni climatiche temperate calde ed anche un tenore di umidità piuttosto elevato derivante, in parte dalla piovosità stagionale, in parte dalla disponibilità di aree umide lacustro-paludose. Carpini di varie specie, betulle, castagni, querce, faggi erano certamente le piante più diffuse a cui si accompagnavano anche delle sempreverdi come ad esempio il leccio ed altre arbustive che sottolineano l’aspetto temperato dell’ambiente.
A rimarcare la presenza di ambienti umidi, sono stati rinvenuti i pollini di ontani e salici e di erbacee galleggianti quali Alisma, Potamogeton e Cyperaceae. A completamento del quadro floristico, l’aspetto di prateria è definito da Graminaceae, Cichorioideae, Helianthenum, Leguminoseae ed altre.
Gli animali di Isernia
Sebbene la maggior parte dei reperti ossei appartenga a grandi mammiferi quali il bisonte, il rinoceronte e l’elefante, nel loro insieme costituiscono un patrimonio di informazioni utile principalmente per tre principali motivi:
1- La frequenza degli individui per specie identificata e l’associazione faunistica nel suo complesso consente di tracciare in modo abbastanza preciso l’antico ambiente naturale. Infatti si può affermare che l'alta frequenza dei grandi erbivori era favorita dalla presenza di una vegetazione aperta, ricca di pascoli che consentiva la vita a mandrie di bisonti e ai numerosi pachidermi. Un ambiente così caratterizzato si era formato in un clima a due stagioni, una lunga arida, l'altra breve in cui si concentravano le precipitazioni annuali. Nelle aree più umide la vegetazione si infittiva procurando rifugio a cinghiali e cervidi, mentre in quelle più aride e scoscese, vivevano capre selvatiche. Nelle aree umide trovava il suo naturale habitat l'ippopotamo. I dati ambientali sono confermati anche dai microvertebrati rinvenuti nel sito.
2 - Il gran numero di individui consente studi approfonditi sulle caratteristiche morfologiche delle specie, offrendo informazioni a carattere generale per la conoscenza delle popolazioni animali in una fase molto antica del Quaternario;
3- Rappresentano una fonte inesauribile di studio per la comprensione dello sfruttamento delle carcasse animali da parte dell’uomo. In particolare sono state ricostruite, anche con l’ausilio della sperimentazione, le tecniche di fatturazione intenzionale per il recupero del midollo a scopo alimentare e le modalità di scarnificazione documentate dalla presenza di particolari strie dovute allo scorrere sulle superfici ossee del bordo tagliente di una scheggia in selce impiegata per il taglio e la riduzione delle masse carnee.
Le ossa presenti sulle archeosuperfici di Isernia La Pineta ci informano su alcune delle attività svolte dall'uomo. Egli portò sull'area interessata dagli scavi solo alcune parti degli animali cacciati, quelle più redditizie in termini di approvvigionamento carneo. A questo si devono, ad esempio, le anomalie riguardanti la frequenza di particolari segmenti ossei, in particolare dei grossi erbivori.
Il futuro delle ricerche
L’area degli scavi è stata attrezzata con una serie di strutture logistiche che consentono di svolgere l’attività di ricerca in modo continuativo durante tutto l’anno. Particolare significato rivestono la costruzione del Padiglione degli scavi dotato delle più moderne attrezzature e il fabbricato che ospita il Centro Europeo di Ricerche Preistoriche in grado di offrire assistenza e continuità di lavoro a studiosi, dottorandi e studenti italiani e stranieri.
La realizzazione del Parco Archeologico e del Museo del Paleolitico garantiranno inoltre anche al grande pubblico la possibilità di avvicinarsi ai temi della nostra evoluzione biologica e culturale non soltanto con i risultati raggiunti con lo scavo del giacimento di Isernia La Pineta, ma anche attraverso l’insieme delle conoscenze della nostra lunga storia, presentate anche con l’ausilio di ricostruzioni e momenti di interazione su specifici argomenti.
Negli anni a venire si prevede di continuare l’esplorazione dei suoli di abitato con attività di esplorazione sistematiche e di lunga durata.
Bibliografia essenziale:
AA.VV. (1983): Isernia La Pineta: un accampamento piy antico di 700.000 anni, Catalogo della mostra omonima, Calderini Editore, Bologna.
Arsuaga J.L., Bermudez de Castro J.M., Carbonell E. (1998): The archeo-palaeontological sites of the Sierra de Atapuerca (Spain), Atti XIII Congresso UISPP, vol. , pp.
COLTORTI M., CREMASCHI M., DELITALA M.C., ESU D., FORNASERI M., McPHERRON A., NICOLETTI M., van OTTERLOO R., PERETTO C., SALA B., SCHMIDT V., SEVINK J. (1982): Reversed magnetic polarity at Isernia La Pineta, a new lower paleolithic site in Central Italy. Nature, 300, 5888, pp. 173-176.
Crovetto C., Ferrari M., Longo L., Peretto C., Vianello F. (1994): The carinated denticulates from the Paleolithic site of Isernia La Pineta (Molise, Central Italy): tools or flaking waste? The results of the 1993 lithic experiments. Human Evolution, vol. 9, pp. 175-207.
Galiberti A. (1984): Bibbona; in I primi abitanti d’Europa, catalogo della mostra, Ed, De Luca, pp. 121-123.
PERETTO C. (1994, ed.): Le industrie litiche del giacimento paleolitico di Isernia La Pineta, la tipologia, le tracce di utilizzazione, la sperimentazione. Istituto Regionale per gli Studi Storici del Molise “V. Cuoco”, C. Iannone Editore, Isernia.
PERETTO C: (1996, ed.): I reperti paleontologici del giacimento paleolitico di Isernia La Pineta: L’uomo e l’ambiente. Cosmo Iannone Editore, Isernia, pp. 625.