Fauna
Tutta la fauna straordinaria dell'Appennino, che ha reso celebre il Parco Nazionale d'Abruzzo, vive anche nelle Mainarde, dove trova, anzi, uno dei rifugi più privilegiati e tenta di espandersi gradualmente. E capitato a chi scrive, durante memorabili escursioni lungo la catena delle Mainarde, di incontrare timidi camosci, scovare tane di orsi e tracce di lupi, udire il bramito dei cervi in amore ed ammirare voli di aquile reali, falchi pellegrini e coturnici, a breve distanza gli uni dagli altri, nel giro d'una sola giornata.
Protagonista e dominatore incontrastato del superbo scenario montuoso è sicuramente l'orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus): invisibile e incombente, solitario e vagabondo. Un decimo dell'intera popolazione appenninica, pari ad un numero di esemplari oscillante tra 8 e 12, sopravvive qui: si tratta dunque di uno dei nuclei più preziosi e indisturbati, che adeguate misure di tutela potrebbero far crescere ulteriormente. Ottima anche la densità del lupo appenninico (Canis lupus italicus), che conterebbe circa 10-15 individui, raggruppati in piccoli branchi o isolati, comunque in continuo movimento alla ricerca di prede nelle folte selve della zona. Né va dimenticato che, per entrambi questi carnivori, l'atto di nascita delle sottospecie appenniniche risulta solidamente registrato all'anagrafe del Molise, grazie agli studi del valoroso medico e naturalista Giuseppe Altobello già ricordato: il quale attribuì appunto, nelle sue pubblicazioni degli anni Venti, all'orso la denominazione di «marsicano» e al lupo quella di «appenninico», in base a caratteri differenziali non riconosciuti subito da tutti gli scienziati, ma oggi via via riscoperti e rivalutati. Vi sono pochi dubbi che le Mainarde ospitassero un tempo anche la misteriosa ed elusiva lince (Lynx lynx), oggi purtroppo scomparsa: un esemplare sarebbe stato abbattuto intorno al 1968 da un cacciatore, e poi portato per l'identificazione ad un medico locale, nei dintorni di Cerro al Volturno, ma non fu mai possibile ritrovarne i resti. Per il Molise don Giuseppe d'Alessandro, duca di Pescolanciano, già nel 1723 ricordava che «nei luoghi più rigidi e boscosi di questo regno vi sono rari lupi cervieri [nome tradizionale della lince] che... son di grossezza per due volte un grosso gatto».
Le Mainarde offrono un habitat ideale anche agli ungulati: il camoscio d'Abruzzo (Rupicapra ornata) discende spesso lungo la catena montuosa, spingendosi d'inverno quasi alle porte degli abitati: attualmente se ne contano circa 20-30 esemplari, destinati a moltiplicarsi con rapidità grazie alla progressiva esclusione di ogni attività incompatibile. Ma anche il cervo (Cervus elaphus hippelaphus), con 100-150 unità, e il capriolo (Capreolus capreolus), con un nucleo difficile da stimare ma probabilmente non inferiore ai 30-40 capi, hanno riconquistato queste foreste a seguito dei ripopolamenti effettuati con successo dal Parco a partire dal 1971, e potranno certamente diffondersi ancora. Quanto al cinghiale (Sus scrofa ferus), dato per scomparso fino a una ventina d'anni or sono, il suo prepotente ritorno, provocato da lanci massicci e spesso incauti del mondo venatorio, è stato fin troppo invadente, e sembra causare più d'un problema agli agricoltori.
Dei molti altri mammiferi minori, merita d'essere ricordato soprattutto il gatto selvatico meridionale (Felis sylvestris), non troppo raro sulle Mainarde e corrispondente con molta verosimiglianza alla forma descritta per il Molise dallo stesso Altobello (molisana).
Anche l'avifauna è ricca e notevole: tra i rapaci l'aquila reale (Aquila chrysaetos) - una coppia della quale nidificava in passato proprio di fronte a San Michele a Foce, ma venne brutalmente scacciata dall'assalto stradale al Monte Piana - può spesso essere avvistata in volo maestoso sulla catena montuosa. Il nibbio bruno (Milvus migrans) esplora regolarmente in coppia le zone intorno a Scapoli, ove nidifica, e sorvola di frequente il lago di Castel San Vincenzo, alla ricerca di pesci: né è raro incontrare lo stesso nibbio reale (Milvus milvus) che ha le proprie aree preferite di nidificazione presso Venafro, lungo il corso del Volturno e nel resto del Molise. Ma l'indicatore ecologico più pregiato è il saettante falco pellegrino (Falco peregrinus), il cui grido caratteristico non è insolito presso le più impervie pareti rocciose, dove almeno una coppia risulta nidificante.
Tra i numerosi rettili va ricordata la piccola e rara vipera dell'Orsini (Vipera ursinii), che fu trovata sulle pendici della Meta; e tra gli anfibi la delicata salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata), presente ad esempio a Valle di Mezzo, tipico endemismo (e cioè esclusività) del nostro Appennino. Quanto ai pesci, superbi esemplari di trota di torrente (Salmo trutta fario) si riproducono nel bacino di Capo d'Acqua, alle sorgenti del Volturno; e nel rio Iemmare s'incontra il non frequente triotto (Pseudophoxinus rubilio), accompagnato da due crostacei ottimi indicatori ambientali, il gambero di fiume (Austropotamobius pallipes italicus) e il granchio fluviale (Potamon fluviatile).
L'entomofauna, abbondante quanto poco nota, meriterebbe investigazioni approfondite: tra gli insetti d'un certo interesse ricordiamo un lepidottero alpino di cui proprio alla Meta è stata riconosciuta una forma peculiare, l'apollo (Parnassius apollo metaensis), e un coleottero strettamente legato alla faggeta più evoluta e matura, il cerambicide rosalia alpina (Rosalia alpina).
Le ricerche zoologiche più complete sono probabilmente quelle condotte dal WWF di Caserta nell'ambito del Progetto Volturno, e finalizzate alla tutela del fiume. Anche se esse rientrano solo in parte nel comprensorio delle Mainarde, va sottolineato come abbiamo posto in luce un notevole grado di integrità nella parte alta del fiume, con presenza abbondante di indicatori ecologici positivi, tra i quali come era logico aspettarsi figurano varie specie di plecotteri e tricotteri.
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