Introduzione
La catena delle Mainarde si estende a cavallo tra Lazio e Molise - per la maggior parte ricompresa in quest'ultima regione - al confine con la punta estrema meridionale d'Abruzzo, fra la Meta (quota 2.241) e Passo dei Monaci (quota 1.976). E una successione di cime digradanti con più dorsali verso la valle del Volturno, che forma una specie di grosso triangolo esteso circa 10.000 ettari, per due terzi a quota superiore ai 1.000 metri. Costituisce in fondo la naturale continuazione delle montagne del Parco, ed a ben vedere è proprio qui che si trovano le vette più elevate del Molise, con il Monte a Mare (2.124) e la Metuccia (2.105), che superano entrambe in altezza la vetta del Monte Miletto (2.050), massima cima del massiccio del Matese. Della catena delle Mainarde fanno parte anche altre montagne rispettabili, d'aspetto caratteristico o comunque famose, come il Monte Mare (2.020), il Monte Ferruccia (2.005), il Monte Marrone (1.805) e il Monte Piana (1.218).
Le pendici di questo sistema orografico sono tuttora ammantate da fitti boschi, sovrastati da imponenti formazioni rocciose o, più frequentemente, da estese praterie d'altitudine. Le acque sono abbondanti, ed oltre ad alimentare i sistemi fluviali vicini, in special modo quello del Volturno, hanno dato vita per intervento delle società idroelettriche a vari laghi artificiali; a nord quello della Montagna Spaccata, al centro quello di Castel San Vincenzo, a meridione il lago della Selva presso San Biagio Saracinisco.
Il paesaggio, aperto sulla sconfinata piana che discende verso Venafro e la Terra di Lavoro, si presenta ameno e coltivato presso i villaggi, arroccati per lo più in punti strategici e su colli dominanti, cresciuti intorno agli originari borghi medievali; si fa invece più aereo e selvaggio a mano a mano che, salendo sulle pendici e sulle creste più elevate della catena, si scoprono vasti orizzonti che nelle giornate più terse e fresche giungono a comprendere tutto l'Appennino Centrale, e parte di quello Meridionale; dal Gran Sasso al Matese, non escluso il Monte Cairo e la stessa abbazia di Montecassino. Si dice anzi che il nome di due vette (il più settentrionale Monte a Mare e il Monte Mare più a sud) sia dovuto al fatto che da entrambe, specialmente d'inverno, il Tirreno è spesso ben visibile!
È uno scenario grandioso e solenne, capace di ispirare e ritemprare proprio per quelle che sono le sue intrinseche prerogative, sempre più rare nel mondo attuale: vastità, solitudine, silenzio... Anche se la natura è stata modellata nei secoli dalle attività umane tradizionali, in prevalenza agrosilvopastorali, si può dire senz'altro che si tratta di un ambiente sostanzialmente integro, indenne dal segni più pesanti e vistosi della civiltà tecnologica, non sfregiato ma arricchito dalla presenza di piccoli agglomerati umani sparsi e monumenti o tracce di antiche culture.
L'esplorazione naturalistica del Molise, tuttora, una delle regioni d'Italia meno conosciute, fu assai ridotta e sporadica anche nei secoli scorsi; e molte zone, che avevano la ventura di restar fuori degli itinerari più battuti e accessibili, rimasero praticamente ignorate. Anche nel classico Viaggio per lo Contado di Molise nell'Ottobre 1786 di Francesco Longano le indicazioni sono piuttosto generiche, al punto che la Maiella, al di là del fiume Sangro, è accomunata col Matese: «Sembrano esse tante montagne l'una sull'altra così ammonticchiate, che direste il Pelio e l'Olimpo sull'Ossa, le cui cime sono nudissime rocce perpendicolari, ed inaccessibili, o poco inclinate; e le loro valli, e pianure si veggono ricoperte di fortissimi arbori di querce, di cerri, di faggi, d'abeti, fargne, aceri, roveti, e spinetti». Neppure i due celebri viaggiatori che qualche anno dopo - per singolare coincidenza, entrambi nel 1789 - si spinsero verso il Mezzogiorno d'Italia, lo svizzero Carlo Ulisse De Salis Marschlins con il suo Viaggio nel Regno di Napoli, e l'inglese Richard Keppel Craven con il suo Viaggio attraverso l'Abruzzo e le province settentrionali del Regno Napoletano penetrarono l'attuale territorio del Molise, o tanto meno percorsero l'inviolata e sconosciuta catena delle Mainarde.
Per avere informazioni accurate sulla natura del Molise occorrerà dunque aspettare tempi alquanto più recenti, e per quanto concerne la fauna il merito d'averla studiata per la prima volta in modo serio e scientifico spetta alla singolare figura del medico-naturalista di Campobasso Giuseppe Altobello, nato nel 1869 e vissuto fino al 1931 nel capoluogo molisano. Costui ebbe tra l'altro la pazienza e la tenacia, malgrado l'isolamento e gli impegni professionali, di allestire una notevolissima collezione faunistica, che nella sua fase matura, intorno al 1930, comprendeva ben 510 mammiferi, 2.240 uccelli, 270 rettili, 80 anfibi e 120 pesci - praticamente tutti i vertebrati locali, e molti altri - preparati secondo i migliori criteri tassidermici dell'epoca, oltre a una serie di raccolte minori di crani, impronte, nidi, uova, farfalle ed altro. È a questo sforzo certosino che dobbiamo, ancor oggi, la maggior parte delle conoscenze sulla fauna regionale, tanto più preziose in quanto molte specie animali, un tempo abbondanti, sono ormai rarefatte o scomparse. Lo stesso professor Alessandro Ghigi, il più illustre zoologo italiano della prima metà del secolo, visitò la raccolta il 22 agosto 1923, di ritorno dal Parco Nazionale d'Abruzzo, dichiarando: «La collezione Altobello è la più ricca collezione locale che io abbia veduto». Per questo, scomparso il proprietario una decina d'anni dopo, l'illustre studioso bolognese fece tutto il possibile per acquisire la raccolta al Museo di Zoologia della sua università: e vi riuscì, grazie ad uno speciale stanziamento dello Stato, per cui il prezioso materiale, benché danneggiato in parte dall'ultima guerra, si è potuto salvare ed è oggi diviso tra il Museo e l'Istituto Nazionale di Biologia della Selvaggina di Ozzano Emilia.
Oltre a ciò, Giuseppe Altobello - che fu in continuo contatto anche con personaggi come Emilio Sipari, di Pescasseroli, il parlamentare cugino di Benedetto Croce che proprio in quegli anni stava creando e consolidando il Parco Nazionale d'Abruzzo - fu studioso attento degli animali, e specialmente dei mammiferi e degli uccelli su cui pubblicò tra il 1901 e il 1927 una serie di 14 interessanti lavori scientifici, descrivendo tra l'altro numerose nuove specie dell'Abruzzo e del Molise.
(Fonte: Franco Tassi)
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