IL TARTUFO
"Sta fra quelle cose che nascono ma non si possono seminare", scrive del tartufo Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia, e lo descrive come un’essenza in grado di sopravvivere senza radici, una callosità della terra, quasi una sua malattia. In verità per lunghi secoli il tartufo, consumato ed apprezzato fin dai Sumeri intorno al 1700 a.C., ha suscitato interesse misto a timore per la difficoltà di comprendere e riconoscere la sua identità biologica, ispirando le teorie più bizzarre per la difficoltà di classificarlo e riconoscerlo; come quella di Plutarco, che lo riteneva la combinazione di acqua, calore e fulmini, figlio di un lampo scagliato da Giove sulla terra o di una folgore sfuggita a Vulcano. Queste teorie generarono vere e proprie dispute tra filosofi e scienziati per la definizione della natura di questo strano frutto della terra e alimentarono l’alone di mistero che lo ha sempre circondato, al punto che la tradizione popolare non sapeva se identificarlo come come animale o vegetale, ritenuto comunque velenoso, frutto del diavolo e cibo per le streghe. Tutte queste credenze, tuttavia, non limitarono il suo l’uso in cucina, specie sulle mense di re e alti prelati. Nell’ ‘800, superate quasi del tutto le diffidenze, il tartufo ebbe dei testimonial di tutto rispetto in Cavour, lord Byron, che si vuole lo tenesse sulla scrivania per trarre ispirazione dai suoi profumi, Alexandre Dumas e Gioacchino Rossini che ebbe a definirlo “il Mozart dei funghi”.
Il tartufo ottenne la consacrazione gastronomica vincendo nel IV secolo avanti Cristo il primo premio di un concorso gastronomico ad Atene con il piatto "Pasticcio Tartufato alla Chiromene".Keripe conquistò onore e fama per la sua capacità di cucinare i tartufi e per aver introdotto nuove ricette.
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