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Paleolitico
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L’inganno tipologico di Isernia: un mondo di sole schegge
Il giacimento de La Pineta ha restituito una abbondante industria litica, con una netta dicotomia tra manufatti in calcare e in selce. Questi ultimi, che nella quasi totalità dei casi sono di piccole dimensioni, sono ricavati da lastrine di selce di cattiva qualità ricche di fratturazioni incipienti che hanno avuto una certa influenza sulle tecniche adottate per la fabbricazione dei manufatti. È del tutto verosimile, come dimostra la sperimentazione, che i preistorici siano intervenuti con la percussione diretta, ma soprattutto con la scheggiatura su incudine con percussore duro mobile, al fine di provocare la rottura del nucleo e successivamente la produzione di un numero elevato di schegge, per lo più di piccole dimensioni.
I manufatti carenati, che spesso si trovano in associazione con le schegge, non sono altro che il risultato ultimo e puramente casuale dell’intenso sfruttamento del supporto di materia prima a cui viene data la definizione di debris, cioè scarti di lavorazione. La loro morfologia trae solitamente in inganno dal momento che presentano una serie di stacchi multipli che potrebbero erroneamente essere interpretati come ritocchi.
Questo aspetto è confermato anche dall’analisi funzionale dei manufatti sia al microscopio a scansione elettronica (SEM) che al microscopio metallografico, i quali hanno evidenziato la presenza di chiare tracce di uso lungo i margini attivi soltanto delle schegge. La loro presenza, intensità, localizzazione e distribuzione possono fornire informazioni utili sulla direzione del movimento e sulla durezza del materiale utilizzato. Nella quasi totalità dei casi si tratta comunque di usure derivate dal taglio di masse carnee, probabilmente concomitanti al trattamento e allo smembramento di carcasse animali. Sono pochi gli esempi di usure riconducibili alla lavorazione di materiali duri quali il legno.
In definitiva ciò che emerge dallo studio dei reperti in selce di Isernia è che, indipendentemente dal tipo di lavoro per cui i manufatti venivano utilizzati, sono state soprattutto le schegge di piccole dimensioni, dell’ordine di qualche centimetro al massimo, ad assicurare facilmente e rapidamente un’ampia gamma di operazioni legate essenzialmente alle necessità di approvvigionamento di carne.

Come e dove si viveva ad Isernia
Le recenti ricerche sul sito consentono di proporre una interpretazione del tutto nuova sulle modalità di formazione delle antiche archeosuperfici esplorate, consentendo una interpretazione funzionale dell’industria raccolta.
I differenti suoli di frequentazione antropica (3c, 3a, 3S10) rappresentano il risultato di atteggiamenti comportamentali inseriti in specifiche strategie rivolte al reperimento di porzioni di masse carnee a scopo alimentare, avvalorati dalla ricostruzione paleogeografica dell’area, dalle modalità deposizionali e distributive dei reperti litici e ossei, dalle caratteristiche tecniche e tipologiche di schegge e nuclei, nonché dalla sequenza operatoria adottata dall’uomo preistorico per la loro fabbricazione e il loro uso. Le archeosuperfici non rappresenterebbero altro che interfacce differenti di una fase insediativa unitaria che la sequenza delle modalità del suo seppellimento fanno attribuire erroneamente a livelli archeologici distinti sul piano cronologico.
 L’elemento di unione delle archeosuperfici è rappresentato dagli ambienti umidi presenti nell’area di quel tempo, contraddistinte da formazioni travertinose in parte emerse ad un andamento discontinuo, in parte lineare, caratterizzate spesso da un progressivo accrescimento orizzontale e verticale. Questo ultimo aspetto, dovute alla presenza dell’acqua e al suo scorrere, è documentato dalle sezioni esposte e dai rilievi di scavo che evidenziano strutture tipiche legate a questo fenomeno. È probabile che un reticolo, più o meno vasto e disomogeneo, di elementi travertinosi emersi caratterizzasse quindi l’intera area, definendo in taluni casi piccoli ambienti umidi (laghetti) tra loro comunicanti.
 Lo scavo ha posto in luce una grande quantità di materiale litico sulla superficie allungata e stretta di uno di questi rilievi travertinosi attorniati dall’acqua. I reperti sono molto freschi, per lo più rappresentati da schegge ottenute con percussione diretta o su incudine (Peretto, 1994), con superfici caratterizzate da frequenti tracce connesse con l’attività di taglio della carne. Su questa area i resti ossei sono molto scarsi; essi invece sono molto frequenti ai suoi lati, dove l’acqua lambiva il rilievo stesso e dove diventano meno numerosi i materiali in selce.
La frequentazione stabile dei rilievi travertinosi contornati dall’ambiente acqueo offriva probabilmente la necessaria sicurezza e protezione al gruppo umano. L’esplorazione del territorio circostante comportava la possibilità di recuperare carcasse o meglio parti di carcasse animali a scopo alimentare, senza escludere azioni di carrognage. Esse venivano trasportate in queste aree decisamente più sicure degli spazi aperti della prateria per essere ulteriormente depezzate e sfruttate, anche con la fratturazione delle ossa per il recupero del midollo. La loro altissima frequenta nell’ambiente umido a ridosso del rilievo (peraltro cosa che era già stata osservata fin dalle prime fasi della ricerca; Peretto et alii, 1983) comporta numerosi vantaggi, in particolare l’attenuazione degli odori della putrefazione.

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