La sala era piena zeppa domenica sera a Venafro per la presentazione del libro di poesie dialettali di Filippo De Angelis “Peraforte de ’na ota e de mo’”. Non mancavano tra il folto e vario pubblico, attento e partecipe, intellettuali e persone di penna (fra essi i poeti Antonio Vanni di Isernia, Elena Montanaro di Piedimonte San Germano, Maria Giusti di Venafro, e il noto pittore Peppino De Marchi). A dimostrazione della stima di cui gode De Angelis, che, originario della provincia di Rieti, vive a Venafro da anni, ed è stato comandante della caserma dei carabinieri di Venafro col grado di capitano, prima di andare a comandare la compagnia di Isernia col grado di maggiore prima e tenente colonnello poi.
La serata è stata abilmente condotta dalla dirigente scolastica Vincenzina Scarabeo. Hanno portato il loro saluto il Luogotenente Giuseppe Macari, pres. sez. ANC Venafro, l’Ing. Vincenzo Evangelista, ispettore ANC Regione Molise; il consigliere regionale e segretario del Consiglio Reg. Massimiliano Scarabeo, in rappresentanza della Regione Molise; l’assessore Nicandro Boggia in rappresentanza del Sindaco di Venafro. Erano presenti il c.te della Stazione CC di Venafro, M.A.s.U.P.S. Antonio Iannazzo, in rappresentanza del Comandante della Compagnia CC di Venafro e ha inviato un messaggio di auguri il Generale C. A. Libero Lo Sardo, Presidente Nazionale ANC.
Hanno quindi preso la parola i relatori Amerigo Iannacone, Aldo Cervo e Giuseppe Napolitano, personaggi ben noti negli ambienti letterari, oltre che come scrittori in proprio, anche come critici letterari.
I tre relatori hanno fatto tre letture approfondite, diverse e in qualche modo complementari, dell’opera di Filippo De Angelis, sia dal punto di vista contenutistico, sia dal punto di vista stilistico-formale.
«Nei testi inclusi in questo libro – ha detto tra l’altro Iannacone – c’è forse un senso di perdita di qualcosa che il tempo ha portato via, ma non c’è il rimpianto per il passato. C’è piuttosto il ricordo commosso di una certa vita e di alcuni personaggi “Le carzolaru”, “Lu ferraru”, “Lu canestraru”, la fornaia, il banditore, per i quali queste poesie diventano un attestato di benemerenza» e poi «Il testo scorre gradevolmente musicale e conserva – e a volte resuscita – suoni e cadenze del dialetto di Pietraforte e lo consegna, con la pubblicazione, alle nuove generazioni».
Aldo Cervo ha detto, tra l’altro: «Il volumetto è l’affettuoso dono di un figlio alla terra che oltre ad avergli dato i natali, consentì ai suoi anni giovanili di conoscere un mondo a dimensione d’uomo, popolato da gente semplice, laboriosa e solidale. Le pagine ricostruiscono in vernacolo reatino la civiltà contadina di un tempo rappresentata nelle annuali ritualità campestri: la semina, la mietitura, la trebbiatura, la vendemmia etc., e l’artigianato, povero ma creativo (calzolai, fabbri, maniscalchi), che senza inimmaginabili – all’epoca – fini di lucro realizzava l’essenziale per il quotidiano bisogno delle genti».
Ed ecco uno stralcio della relazione di Giuseppe Napolitano: «Il senso del tempo che passa è evidente, sottende quasi tutta la silloge, che è costruita proprio sul rapporto prima-oggi (doloroso anche se non privo di ironia). “Ritorno a Peraforte” è un esempio di questo rapporto vissuto in prima persona e testimoniato senza pudore: “più passa tempo e più me faccio vecchiu / e più revaio arreto co la mente… dolce paese meu retrovatu / ognunu qui da te troa se stessu… e allora vaffanculu lu progressu”».